12-05-2020
Janes Walk il perchè della nostra assenza
Janes Walk Jane Jacobs – Antropologa 1916 - 2006 ...criticò fermamente il modello di sviluppo delle città moderne e fu accesa sostenitrice del recupero a misura d'uomo dei nuclei urbani, enfatizzando il ruolo della strada, del distretto, dell'isolato, della vicinanza e della densità, della eterogeneità degli edifici. Criticò la concezione della città come spazio costruito per essere attraversato dalle automobili e fu nemica dichiarata delle autostrade urbane. Fu Presidente di vari comitati per impedire la costruzione di grandi arterie stradali urbane, sia negli Stati Uniti che nel Canada, paese dove si trasferì nel 1969 e dove visse fino alla morte...
E’ impossibile non innamorarsi di una antropologa, quella figura che laicamente risponde ai comportamenti umani, ne riconosce i bisogni, le loro interrelazioni e la loro capacità di trasformare il territorio in risposta ai propri bisogni. E’ con l’avvento della filosofia capitalistica che l’economia prima e la finanza successivamente, si impadroniscono degli spazi vitali dell’uomo modificandone l’essenza e sovrapponendo gli interessi ai bisogni. L’antropologo è la figura antitetica allo psicologo/sociologo che negli ultimi decenni è diventato (organico al sistema economico/finanziario), la figura in grado di distorcere i significati ancestrali e scoprire le falle emozionali dell’individuo entro cui insinuare decisioni esterne determinate dal capitale economico. Le tecniche di convincimento subliminari e di orientamento delle masse sono frutto di un intenso lavoro di psico/sociologi a favore dei sistemi di penetrazione mentale dei soggetti e delle masse. E’ ormai costante la centralità aziendale di questa figura nelle funzioni di Marketing o di “orientatore” dei bisogni; funzione esercitata anche nell’ambito dei comitati elettorali politici. Questa figura di tecnico spesso, anziché fornire al singolo soggetto gli strumenti per ritrovare la propria individualità, lo orienta verso una “individualità collettiva” utile “vettore” di interessi esterni. Di questo ne siamo convinti così come siamo convinti che il tecnicismo con cui vengono affrontate molte delle decisioni che riguardano la società, sono in realtà opposti alla “migliore soluzione” possibile. Jane Jacobs individua chiaramente i “players” sul teatro operativo che è la città. Questa è un luogo costruito dai cittadini lentamente nel corso degli anni, spesso secoli, con scelte (che poi divengono urbanistiche) capaci di rispondere razionalmente all’uso ed allo stesso tempo dare identità ai luoghi; luoghi diversi, città diverse; questo è l’opposto della massificazione: città uguali in posti diversi. A cosa risponde tutto cio? È chiaro, serve ad allargare un mercato globale che è alimentato da processi Industriali e perciò “standardizzati”. Il “progresso” o meglio il “prodotto del progresso” viene forzato in ogni luogo con la stressa intensità perché tutto deve seguire una logica di aumento della ricchezza (aumento del capitale) questo genera, nelle popolazioni più marginali fortissime tensioni sociali spesso risolte con una segregazione orizzontale di cittadini entro una stessa città: la città bene (al passo con i consumi) la città difforme, disadattata, povera che ai consumi può guardare solo come speranza di un obiettivo, dimenticando o rinunciando del tutto alla cura della propria identità nell’aspirazione di un livello di integrazione irraggiungibile. In altri termini una disparità sociale che cresce con l’aumento della ricchezza, anzi dei ritmi di produzione industriale. La società si divide così in tre classi: quella ricca, quella povera e in mezzo quella che ritiene di essere tendenzialmente ricca mentre è solamente un cuscinetto destinato ad essere schiacciato; da questa nascono tutte le politiche di mitigazione sociale che portano in se la colpa di non fare esplodere il conflitto sociale, anzi inibendo le giuste istanze di rivolta dei ceti meno abbienti; da loro nasce l’idea di avvicinare quella fascia alla “cultura” colpevolizzando di fatto i limiti culturali generati dalla povertà e sacralizzando senza accorgersene, i meccanismi di esclusione e preparando di fatto, la propria stessa futura esclusione. Non parteciperemo allo Janes Walk 2020 in una città che vuole ottenere il consenso di alcuni cittadini alle politiche urbanistiche che sono antitetiche rispetto alle lotte di Jane Jacobs; perché gli attori locali destinatari dei report sono gli stessi che operano in deroga ad ogni pianificazione urbanistica, che fanno largo uso delle varianti in deroga, che non applicano su vasta scala la VAS (unico strumento da cui trarre dati oggettivi di impatto) ed operano scelte sulla scorta di un pensiero unico dominante. Certamente non vedremo mai, per leggerezza di concessione, la demolizione del Castello Ursino o Del Teatro Romano e del monastero dei Benedettini, ma questo non basta a rassicurarci sulla condivisione delle scelte urbanistico/sociali della città. Janes Walk 2019 ci ha visti partecipare e sull’area dell’OVE, il comitato DOVE, ha spinto sulla denuncia dello smantellamento e contestato tutte le ipotesi di riutilizzo proprio perché in contrasto con l’idea di comunità che Jane Jacobs ci ha lasciato; non può una passeggiata turistico/culturale rappresentare come vincente e giusto un processo urbanistico inesistente o devastante attraverso l’antropizzazione (superflua) di aree naturali a ridosso della citta (PUA). Soprattutto se quella parte racconta l’essenza della città, la sua natura di città di mare e di contatto multiculturale oltre che di contatto con l’entroterra.